L’ambulatorio del medico di base si trasferisce al Museo Egizio di Torino

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L’ambulatorio del medico di base si trasferisce al Museo Egizio di Torino

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di Chiara Daina

Parte il progetto «Cultura di base»: alcuni medici di famiglia cureranno nei musei, biblioteche, poli culturali. Un modo per accorciare le distanze e favorire il benessere dei pazienti, ma anche medici dopo lo stress della pandemia

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L’ingresso del Museo Egizio è lo stesso dell’ambulatorio del medico di famiglia. I pazienti si confondono tra i turisti. Varcano il portone, a destra trovano la Galleria dei re, con le sfingi e i faraoni, e a sinistra la stanza con lettino, lavandino e scrivania, per la visita. Prima o dopo aver affrontato il problema di salute, misurato la pressione, ricevuto la prescrizione dei farmaci, accompagnati da un volontario, accedono alla straordinaria sala con la serie di statue degli antichi re egizi. Un’immersione nell’epoca faraonica che fa parte del percorso di cura.

Il progetto e l’idea

«È un regalo per entrambi. Circondati dalla bellezza dell’arte noi medici lavoriamo con un’energia diversa e i nostri assistiti si sentono accolti con più riguardo e attenzione», racconta Romano Ravazzani, uno degli otto medici di medicina generale del capoluogo piemontese selezionati (con un bando) per trasferire dal 3 maggio parte della loro attività ambulatoriale nei luoghi di cultura della città (musei, biblioteche, poli culturali). Il progetto si chiama «Cultura di base» e prevede, per la durata di sei mesi, la sperimentazione dell’assistenza primaria all’interno del Museo Egizio, del Museo nazionale dell’Automobile, della Biblioteca civica «Primo Levi» e del Parco Arte vivente (un centro sperimentale di arte contemporanea immerso nel verde con uno spazio espositivo all’aria aperta). A idearlo è stata la Fondazione per l’architettura di Torino (con un finanziamento di circa 100mila euro della Fondazione Compagnia di San Paolo). E l’Ordine dei medici provinciale e l’Asl Città di Torino hanno aderito all’iniziativa.

Gli obiettivi a due sensi

«L’obiettivo — spiega Guido Giustetto, presidente dell’ordine medico — è rinforzare la relazione di fiducia tra il medico e il suo assistito. Un contesto suggestivo, capace di suscitare emozioni intense, può favorire la disponibilità all’ascolto del medico e il rilassamento e la sensazione di benessere del paziente, che si sentirà più considerato rispetto a quando viene visitato in un ambiente asettico. Migliorare l’efficacia del rapporto con il proprio medico ha un impatto positivo sull’aderenza terapeutica e sul decorso della patologia». Un progetto toccasana dopo la pandemia, che secondo un’indagine dell’Istituto Piepoli (per conto della Federazione nazionale degli ordini dei medici), condotta a fine marzo, in un medico di famiglia su dieci ha causato una sindrome da «burnout» (cioè esaurimento fisico, mentale ed emotivo, che si manifesta con insonnia, ansia, stress, paura). I medici ricevono i loro pazienti tra i reperti antichi, i modellini di auto d’epoca, libri e quadri, due giorni alla settimana. «Io visto al Museo Egizio il martedì dalle 15 alle 17 e il mercoledì dalle 10 alle 12.30 — riprende Ravazzani —. Porto con me il mio pc e la mia borsa con farmaci e kit diagnostico che uso per le visite a domicilio. Ho fissato qui gli appuntamenti per i pazienti più comodi logisticamente e meno fragili. Dalla mamma quarantenne con malattia polmonare rara, all’anziano ultraottantenne per un controllo della terapia antipertensiva. Via whatsapp mando loro l’invito al museo con tutte le indicazioni. Non ci credono, pensano che abbia sbagliato destinatario. Alla fine mi ringraziano, si sentono privilegiati, loro come me, che intanto ricarico le pile».

Benessere anche per i medici

La sperimentazione verrà valutata da un comitato scientifico composto da medici, psicologi, architetti e antropologi. «Durante questi sei mesi verranno somministrati dei questionari di gradimento sia ai pazienti che vengono visitati nei luoghi di cultura sia a quelli che continuano a frequentare l’ambulatorio tradizionale — spiega Eleonora Gerbotto, direttrice della Fondazione per l’architettura —. Ci aspettiamo che l’esperienza dello spazio architettonico e artistico umanizzi le cure, che generi un’attitudine all’empatia, favorisca la curiosità e la confidenza, riducendo la distanza tra medico e paziente e aumentando il benessere di entrambi». Tutta l’attrezzatura è stata noleggiata. «Dalle scrivanie ai lettini, sedie, stampanti, lavandini, mobili, luci, e poi abbiamo adeguato le finestre per garantire la privacy — specifica Gerbotto —. Dei 40 luoghi inizialmente individuati, ne abbiamo selezionati cinque. Abbiamo dovuto valutare l’accessibilità delle stanze e dei bagni e la luminosità naturale interna. Il messaggio da far passare — conclude — è che se la persona viene accolta in un ambiente bello si sentirà trattata con maggiore cura, la stessa che per riflesso sarà portata ad avere nei propri confronti». Se il progetto funziona, la Fondazione intende farlo diventare una prassi sul territorio. «In prima battuta ci piacerebbe estenderlo a tutte le biblioteche cittadine», auspica la direttrice.

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